Definiamo rifiuti quei materiali che, per qualche ragione, diventano – o appaiono – inutili o inutilizzabili nell’ambito del contesto umano in cui si trovano. Il fatto che, all’interno di un gruppo umano, alcuni oggetti vengano percepiti come rifiuti è, quindi, strettamente legato alle caratteristiche della vita e della cultura delle persone che li detengono, alle attività che svolgono e al modo in cui le conducono e le pensano: un oggetto diventa rifiuto nel momento in cui viene pensato come tale.
Da questo punto di vista, i rifiuti costituiscono una sorta di impronta materiale del modo di pensare di chi li ha scartati, oltre che delle sue abitudini di vita e delle sue attività. Silvia Pallecchi, docente di Archeologia all’Università di Genova, ha spiegato che è per questa ragione che, in archeologia, gli accumuli di rifiuti antichi vengono considerati archivi formidabili e preziosi che, adeguatamente indagati, possono permetterci di raccogliere informazioni di grande interesse sulla vita e sulla cultura delle comunità antiche.
Un caso di questo genere, reso ancor più interessante dalle vicende particolari del sito, che hanno determinato un eccezionale stato di conservazione dei reperti, è quello di una piccola discarica di rifiuti domestici rinvenuta nel corso delle ricerche archeologiche che l’Università di Genova conduce a Pompei. Si tratta di un piccolo contesto, dalla altissima potenzialità informativa, che ci permette di aprire una finestra inedita sulle attività e sulle abitudini quotidiane di un piccolo gruppo di persone che viveva nell’area della città tra la seconda metà del II secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo.