L’Amazzonia brucia, brucia la foresta siberiana. E’ davvero tutta colpa dell’uomo? Che prezzo pagheremo in futuro? Un tema di grande attualità è di scena al Focus Live di Milano. A spiegarci cosa sta accadendo in molte zone del mondo è Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR e docente del corso “Dinamica dei Sistemi Estesi” all’Università di Torino. Le sue ricerche riguardano, in particolare, la dinamica del Sistema Terra, dei fluidi geologici e geofisici, gli impatti dei cambiamenti globali e le interazioni clima-geosfera-biosfera e dinamica degli ecosistemi.
Professore, quanto incidono i cambiamenti climatici sugli incendi che questa estate hanno devastato intere zone del pianeta?
“Quasi tutti gli incendi hanno un origine antropica, dolosa o accidentale, probabilmente anche quelli siberiani. Le condizioni climatiche favoriscono la maggiore o minore estensione dell’incendio. nel mediterraneo, per esempio, c’è una correlazione molto forte tra la siccità e l’area bruciata. Discorso analogo per la zona boreale dove il caldo e il cambiamento climatico favorisce la propagazione dell’incendio. In Amazzonia la situazione è diversa perché è una zona molto umida. Quindi il clima c’entra fino a un certo punto, c’entra molto di più, invece, il fatto che quasi tutti gli incendi sono stati di origine umana e iniziati non nella foresta, ma in aree già disboscate. Più che i cambiamenti climatici direi che è cambiato il clima politico: azioni che fino all’anno scorso erano considerate punibili oggi non lo sono più”.
Quali sono i rischi di una situazione fuori controllo?
“La perdita della foresta comporta un danno immediato di perdita di vite umane e di biodiversità. Un secondo effetto, quasi immediato, è il rilascio di grandi quantità di carbonio nell’atmosfera. Si è stimato che in Siberia gli incendi abbiano provocato tanta anidride carbonica quanto la Svezia o il Belgio in un anno intero. Terzo effetto, più sul lungo periodo, è che se si sostituisce la foresta con altre piantagioni l’effetto di assorbimento e di sequestro della Co2 è minore. Inoltre, più in generale, c’è il rischio di dissesto idrogeologico e di erosione del suolo con il moltiplicarsi delle frane nelle zone collinari”.
La tecnologia può aiutare a limitare i danni?
“Serve a poco se non c’è la volontà politica di fare investimenti che consentano di risolvere i problemi ambientali. La cosa più sciocca che si possa fare è limitarsi a discutere se i cambiamenti climatici ci sono o no. Bisogna impegnarsi a individuare gli strumenti per affrontare i grandi temi ambientali”.
Quindi come vivremo nel 2029?
“Cambierà poco il nostro modo di vivere. Però c’è una maggiore consapevolezza. Di recente da alcune multinazionali americane è stato firmato un accordo per non mettere al primo posto il profitto, ma i clienti e i lavoratori. Evidentemente ci si sta rendendo conto che lo stesso profitto è a rischio se si mettono a rischio, appunto, la salute e l’ambiente. Diventa indispensabile, ormai, trovare il modo di affrontare le tematiche ambientali anche dal punto di vista economico”.